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Sezione I°) LA SITUAZIONE DEI CONTI PUBBLICI ITALIANI

Introduzione

Siamo tutti stati giustamente ossessionati dagli effetti immediati dell’emergenza da Covid-19 e dalle prospettive di ripresa economica a breve termine. Ma le conseguenze dell’enorme perturbazione economica e sociale di quest’anno dell’economia si ripercuoteranno per anni. Possiamo solo cominciare a delineare i contorni di come, in termini di scienza delle finanze, il Governo italiano -pur nei vincoli dei trattati sottoscritti e della sovrastruttura europea- potrebbe muoversi.

E l’esito, come si potrà appurare, potrebbe condurre ad una imposta patrimoniale e/o ad una revisione dell’imposta di successione e donazione (imposta su cui poggia il sistema della successione generazionale e protezione del patrimonio) .

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Situazione macroeconomica

Con i 25 miliardi destinati al decreto di agosto prossimo, il deficit ufficiale del 2020 perverrà all’11,9% del Pil, (stimato al 14% per fine anno), mentre il debito viaggia al 157,6%, e un’ulteriore revisione al ribasso delle stime di “crescita” nella Nota di aggiornamento al Def di settembre spingerà ancora più in alto queste cifre (160% del Pil e 14% di deficit, della cui ultima misura appare quasi “romantico” segnalare il battage di appena un anno fa, laddove un deficit del 2,4 per cento provocò tensioni nello spread ed inventate procedure di infrazione poi rientrate perché ridotto ad un 2,04 per cento). Ciò senza avviare nessuna nuova misura anticrisi prima del 2021.

Trattasi di inumeri inevitabilmente inediti per le finanze pubbliche italiane, come inedita per il dopoguerra è la caduta del Pil prodotta dalla crisi.

Next Generation EU (cd, “Recovery Fund”)

All’interno del negoziato “Next Generation EU”, il Recovery and Resilience Facility (cosiddetto “Recovery Fund”, Fondo per la ripresa[1]) preannuncia sovvenzioni a fondo perduto[2] (di 81,4 miliardi di euro per l’Italia), ed a prestito (di 127,4 miliardi di euro per l’Italia), da parte dell’Europa.

È programmato vengano utilizzati “in modo molto responsabile per modernizzare l’economia, non solo per la ripresa dalla crisi”, e specificamente “contro i cambiamenti climatici, per la digitalizzazione e aumentare la resilienza, per riportare le economie verso la crescita sostenibile e inclusiva[3].

E per attuare ciò, Bruxelles ha preteso di mantenere in proprio la «policy coordination», ideale per tutelare gli interessi della Commissione Ue e soprattutto proteggere la preponderanza di quest’ultima nel recente agone che si è venuto ad aprire in loco con il Consiglio Ue.

Il “coordinamento” sarà effettuato da un delegato della Commissione Ue che si avvarrà di un pool formato da esperti di bilancio Ue con l’obiettivo di fornire consulenza preventiva agli Stati aderenti al “Next Generation Eu” ma che controllerà l’osservanza di regolamenti, preannunciati in una decina di prossima emanazione, contenenti i dettagli della operatività. Ciò con buona pace sia del Governo italiano, per gli affanni sopportati nei recenti “Stati generali” e di ambire a gestire task force nazionali, che della politica italiana di fronte ai presunti flussi miliardari (od a come è già stato soprannominato, il «piano Marshall» del nuovo millennio).

Il prossimo autunno ogni Paese europeo, quindi, sulla base delle raccomandazioni Ue (intenda chi vuole intendere: le “condizionalità”), presenterà il proprio “Piano di ripresa e resilienza” 2021-2023 al quale sarà subordinata, anche a livello intermedio, la riscossione dei fondi del Recovery Fund, al conseguimento dei target. Il Governo italiano ha costituito, al proprio interno, il Ciae (Comitato interministeriale per gli affari europei) i cui piani verranno valutati dalla Commissione UE. ma ogni stato membro potrà azionare il “freno di emergenza”.

Il tutto ammesso che il Parlamento europeo -titolare dell’approvazione del budget Ue- lo approvi, aldilà dei proclami soprattutto nazionali.

Effetti “collaterali”: l’accordo sigilla l’inizio dell’esercizio di una potestà impositiva (“risorse proprie” Ue) con misure su singolo Paese (e l’Italia è uno di questi), attraverso la preannunciata da parte del Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel di Plastic tax (“tassa sugli imballaggi non riciclati”, il manufatturiero italiano sarà il più colpito a livello continentale), Carbon tax (sulle emissioni) e Digital tax , per iniziare, i cui proventi andranno direttamente (e non in forma interstatale, come l’iva) nelle casse di Bruxelles.

“Risorse europee”

Ma chi tira fuori i soldi, posto che tutti prestano soldi a tutti tramite la Ue?

Poiché non esiste un forziere segreto, né un debito comune europeo (la proposta francese di emettere eurobond è stata definitivamente bocciata dopo mesi di trattative), i fondi perverranno sia dagli stanziamenti del bilancio dell’Unione europea (il cd. “budget Ue”, che affiancherà alcune nuove tasse alle entrate dell’iva), sia dalle contribuzioni dei medesimi stati in difficoltà (Grecia docet), sia dall’allargamento della base monetaria attuato mediante l’acquisto della Banca Centrale Europea dei titoli pubblici emessi dai singoli stati (che rimangono dei prestiti, e quindi dei debiti dello Stato che emette debito pubblico).

Flussi irreali, spostamenti virtuali, contabilità tra stati, quindi. Ma c’è qualcuno che paga, veramente?

Certamente non per il debito pubblico totale, che aumenterà secondo stime nel solo 2020 di 100 miliardi di euro, ma per le esigenze di cassa, per le spese correnti purtroppo, gli italiani saranno prima o poi chiamati alla cassa.

Il cerino in mano al Governo

A copertura del bisogno di risorse -anche urgente, pena l’avversarsi della paventata bomba sociale-, il Governo non può confidare negli aiuti europei come concordati ad ora in quanto questi porterebbero liquidità tra un anno circa e perdipiù, a quella data ed a meno di sorprese, nella misura di dosaggi omeopatici (appena 7-8 miliardi a fondo perduto e 12-13 di prestiti).

Il Governo non può neppure confidare, per le ancora notevoli esigenze di cassa del 2020, nel gettito tributario a breve periodo, per via dell’incapacità delle imprese e lavoratori autonomi di effettuare con prevedibile regolarità i versamenti tributari. È altresì doveroso considerare che anche nel futuro è prevedibile una diminuzione sensibile della base imponibile in conseguenza degli effetti della crisi ma anche per via del rilascio dei numerosi crediti d’imposta (cd. “bonus”, che non sono denaro ma costituiscono un minor versamento in caso di imposte a debito).

Relativamente al breve periodo, autunno in particolare, occorre considerare che facilmente il Governo potrebbe trovarsi costretto ad una ulteriore moratoria di una parte dei versamenti in scadenza e dei milioni di accertamenti e cartelle di pagamento tenute sospese, che -mai come in queste circostanze la politica si conferma l’arte del “far credere”- potrebbe sol che tornargli utile: ottenerne il pagamento, anche se dilazionato.

La (ulteriore) leva fiscale

Il futuro delle entrate fiscali come conosciute nei tempi recenti, vale a dire le imposte sui redditi, sui consumi (iva, accise sulla benzina, dazi, sulle sigarette), le tasse (bollo, registro, ipotecarie, catastali) suona le campane a morto, e non sussisterebbe spazio per un (ennesimo) aumento, come la curva di Laffer insegna[4].

Giocoforza occorre valutare l’esercizio della potestà impositiva, mediante la previsione di nuove imposte e/o tasse.

Ma esistono (altri) settori dell’economia e delle finanze nei quali il Governo possa esercitare la propria potestà impositiva?

I giocatori in campo

Dagli spogliatoi dei consiglieri per individuare le soluzioni tributarie per procurarsi gettito nazionale sono scesi nel campo italiano anche “giocatori” stranieri.

L’Unione europea (spinta fortemente dall’Olanda) preme di agire sulle pensioni (“quota 100”), l’alleggerimento delle imposte sul lavoro e tassare il patrimonio. Il Fondo monetario internazionale preme sul ripristino dell’Imu (anche) sulla prima casa ed aumentandola sulle altre, individuando il comparto immobiliare il settore destinatario ove trovare provvista.

L’ambiente OCSE spinge, invece, per agire nel settore dell’imposta di successione e donazione.

Le proposte nazionali ufficializzate, invece, nella voluta omissione della menzione, riguardano l’aumento dell’aliquota dell’imposta di successione (e donazione) con il contemporaneo abbassamento a 500 mila euro della soglia di esenzione ed aliquote fino al 50%, secondo un seguente schema:

– fino a 500.000: zero,

– da 500.000 a 1.000.000: 5%,

– da 1.000.001 a 5.000.000: 25%,

– oltre 5.000.000: il 50%,

ma anche di colpire, in via straordinaria, tutte le donazioni ricevute in vita aggiungendovi anche una parte di fondi di investimento o titoli di stato passati da padre a figlio.

Ciò, oltre all’aggiornamento delle rendite immobiliari (cd. “Riforma del Catasto), sulle quali si forma la base imponibile, per cui non diviene difficile essere particolarmente ed inaspettatamente incisi.

Ma c’è chi ha proposto una imposta patrimoniale, che avrebbe il “merito” di portare gettito facile ed “immediato”, differentemente dalle altre soluzioni.

Conclusioni

Il contesto delineato impone ad ognuno di valutare le circostanze che lo compongono: abbiamo tutti qualcosa da proteggere.

Un bisogno vitale, un diritto di chiunque, in particolare, è quello di mettere in sicurezza gli elementi che hanno una diretta attinenza al mantenimento della propria sicurezza e prosperità. Ed allo stato attuale, i rischi di aggressione del proprio patrimonio è uno di quegli elementi.

Tuttavia essere protetti parte dalla conoscenza che abbiamo del rischio: se è vero che sta per piovere prendo banalmente l’ombrello.

La panoramica esposta si augura possa aver consentito di comprender tale rischio.

In seguito la trattazione di due “incumbent risk”:

– l’imposta patrimoniale (“Sezione II°);

– la revisione dell’imposta di successione e donazione (“Sezione III°).


Sezione II°) L’IMPOSTA PATRIMONIALE

Premessa

Lo scenario post Covid-19 apre un dibattito ad oggetto le novità ed interrogativi che per certi versi non condizionano soltanto le politiche di governo del debito.

L’andamento fortemente regressivo del pil, assieme all’aumentato stock del debito pubblico implicano un grande aumento del ruolo del settore pubblico nel mercato e trovano giustificazione nell’individuare soluzioni non convenzionali sia di politica di bilancio che di politica fiscale tipiche di una condizione di dopoguerra.

Questo, perlomeno, è quanto diversi sponsor stanno assumendo, anche pubblicamente.

L’imposta patrimoniale è uno dei tributi più disprezzati, oltre che temuto, poiché colpisce una ricchezza (immobili, patrimoni mobiliari, auto, yacht, ecc.) che ha già subito il prelievo fiscale per cui, sapientemente, alla loro istituzione, i regolatori ricor-rentemente ne danno denominazione e significati diversi per fini dissimulatori.

Lineamenti dell’imposta patrimoniale

L’imposta patrimoniale è una modalità di prelievo che incide sul valore del patrimonio, del risparmio, dei beni a disposizione dei residenti italiani.

Si caratterizza per i seguenti elementi:

reale, nella misura in cui colpisca un componente specifico del patrimonio del contri-buente (es. immobile);

soggettiva, se coinvolge il patrimonio del contribuente nella sua totalità;

fissa, quando l’entità è (ovviamente) della stessa misura;

variabile, nel caso in cui venga calcolata in funzione di più un parametro (a seconda del tipo di bene inciso, e/o di scaglioni di valore, ecc.);

straordinaria, per casi eccezionali (ISI divenuta ICI-IMU, Imposta sulle auto di lusso, ecc.);

ordinaria, se ha cadenza regolare (IMU-ICI, Ivafe, Ivie, bollo);

su base dichiarativa, in caso venga previsto che il contribuente debba procedere ad una dichiarazione ed eventualmente liquidazione nonché versamento;

a prelievo, ove forzosamente la legge disponga che il soggetto che ha il possesso del patrimonio ne effettui il prelievo per poi riversarlo nelle casse statali (“prelievo forzoso”).

L’imposta patrimoniale nella “storia italiana”

Attualmente sono in vigore alcune patrimoniali: l’IMU (che nacque nel 1992 come “ISI”, Imposta straordinaria sugli immobili, poi diviene subito ordinaria con l’ “ICI”), l’Ivafe (imposta sulle attività finanziarie estere), l’Ivie (l’imposta sugli immobili all’estero) ed imposte di bollo varie (tra cui la tassa di riservatezza su conti regolarizzati con lo scudo fiscale).

La storia italiana è contraddistinta da crisi economiche alle quali spesso, quasi sempre, sono corrisposte imposte patrimoniali, imposte per fronteggiare le emergenze.

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Anno 1919

L’esordio in Italia dell’imposta patrimoniale trova nel Governo Nitti il primo promotore. Il quadro economico deteriorato a causa della guerra, che originò un ingente debito pubblico e rilevanti patrimoni privati, costituiva il contesto che ne ha determinato e giustificato l’applicazione.

Il prelievo straordinario, una tantum, era riconducibile ad una persona fisica e riguardava la totalità del suo patrimonio personale: i beni immobili venivano tassati sulla base delle risultanze catastali alle aliquote da un minimo del 4,5% ad un massimo del 50%. Per il “mobilio e gioielli” veniva prevista una aliquota del 5% del “patrimonio netto” mentre la giacenza di denaro in banca veniva colpita nella misura dell’1%.

Il pagamento dell’imposta prevedeva una rateizzazione in 10 o 20 anni, a seconda della composizione del patrimonio, con un conveniente “sconto cassa” del 6% in caso di pagamento immediato.

Per via del meccanismo e della rintracciabilità dei patrimoni furono incisi dalla Patrimoniale Nitti prettamente i beni immobili.

Anno 1936

Nel 1936 venne adottato un provvedimento analogo alla “Patrimoniale Nitti” per far fronte ai costi della guerra in Etiopia.

Anno 1940

Nel tentativo di attuare una migliore politica sociale venne introdotta una imposta straordinaria di tipo patrimoniale limitatamente, però, ai beni immobili. La misura causò una sensibile diminuzione dei corsi immobiliari ed allora, per evitare sperequazioni, venne opportunisticamente esteso il tributo anche ai beni mobili (azioni e quote sociali comprese).

Anno 1947

Nel 1947 venne istituita l’ “Imposta straordinaria sul patrimonio” esistente posseduto dalle sole persone alla data del 28/3/1947; esentati i beni situati in Libia e nell’Africa orientale.

Il patrimonio tassabile era composto da terreni, fabbricati, aziende, azioni o quote di società, buoni postali, depositi a risparmio, conti correnti, titoli rappresentanti beni reali situati in Italia, ed anche le banconote di denaro contante (Lire italiane e American-Lire).

Le aliquote previste andavano da un minimo del 6% fino ad un massimo del 61,61%, per patrimoni superiori ad 1,5 miliardi di lire. L’ammontare a debito poteva essere pagato in sei rate bimestrali ma poteva essere consentita una rateazione maggiore, fino a 6 anni.

L’imposta è poi stata convertita a regime nell’Invim (Imposta sull’incremento del valore degli immobili) ed “Invim decennale”, periodicamente ogni 10 anni a carico delle società, per essere abolita nel 1992.

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Anno 1992

Il periodo si contraddistinse per turbolenze finanziarie come mai viste dal dopoguerra e la Lira fu oggetto di speculazioni tali da portare all’uscita dal Sistema monetario europeo (Sme). Il Governo, e qui ci vengono offerte diverse analogie con la situazione attuale, era alle prese con un debito pubblico che aveva appena superato la soglia psicologica del 100% del Pil ed il sistema produttivo che chiedeva una insostenibile (ed antistorica) svalutazione del cambio. Nella notte di venerdì 10 luglio 1992, ad una settimana dal giuramento alle Camere, il Governo Amato I°, con l’emanazione del decreto legge dell’11 luglio 1992, n. 333 dall’evocativo titolo Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica per comprendere il rischio in atto, introdusse, tra le altre misure, il prelievo straordinario “forzoso” dello 0,6% sull’importo depositato sui conti correnti. Una patrimoniale efficace, perché improvvisa, caratterizzata da una riscossione facile, immediata ed economica (o meglio gratuita, posto che l’esecuzione è stata addossata alle banche).

Ciò nottetempo; c’era direttore generale, al Ministero del Tesoro, Mario Draghi.

Anno 2011

Nel 2011 il governo di emergenza Monti spinto dall’Europa varò, tra l’altro, una serie di patrimoniali: l’Ivafe, l’Ivie, imposta di bollo sui conti correnti bancari, l’imposta di bollo proporzionale sui conti (già) regolarizzati con lo scudo. Tutte queste misure sono attualmente in vigore.

E oggi?

Se le patrimoniali sin qui esposte si caratterizzano per la costante di essere state emanate in periodi eccezionali o drammatici come in caso di conflitti bellici o crisi economico-finanziarie, il contesto corrente impone la valutazione del rischio in corso.

Inoltre, se in passato, l’entità del gettito -prelievo forzoso Amato I° eccettuato- non ha dato i risultati ipotizzati, oggigiorno la situazione sarebbe certamente diversa ed “accattivante”: il fisco dispone di una mole di dati (banche dati), strumenti (forte digitalizzazione) e facoltà giuridiche (riscossione esecutiva) quasi inimmaginabili un tempo.

All’epoca, Giuliano Amato parlò di una “scelta necessaria” per reperire le risorse finanziarie necessarie per la manovra correttiva di aggiustamento dei conti.

Quali parallelismi con le circostanze di oggi con quelle del passato?

Dal punto di vista del bilancio dello stato, è da evidenziare che il rapporto del debito è proiettato al 160%/Pil in conseguenza a:

– spesa determinata dall’emergenza da Covid-19,

– attuali mancati incassi tributari,

– futuri mancati incassi per crediti di imposta (nella sola edilizia ne sono stati quantificati per 60 miliardi),

– allocazioni in patrimoni destinati per i settori strategici,

– senza contare le inevitabili coperture per i crediti garantiti con Sace e Fondo PMI del Decreto Liquidità.

Sul versante del patrimonio mobiliare degli italiani (escludendovi l’immobiliare), la situazione è riassumibile nel seguente prospetto (dati 2019):

Le attività finanziarie hanno raggiunto 4.445 miliardi di euro, in crescita rispetto all’anno precedente, ed ulteriormente cresciute in periodo Covid-19, soprattutto nella parte estremamente liquida (depositi bancari) che ammonta a circa 1.500 miliardi e che a breve raggiunge addirittura il Pil nazionale, che si aggira(va) sui 1.800 miliardi.

Specificamente, i conti correnti degli italiani stanno aumentando mese per mese. La sempre maggiore liquidità è riconducibile a:

– minori spese ed investimenti (per “paura” del futuro)

– ritiro di investimenti dal mercato mobiliare, ma anche

– minor addebiti (rinvio tasse e rate debiti) con un maggior entità dei debiti.

Istat e Bankitalia hanno stimato in 10.000 miliardi di euro vale la ricchezza privata totale nel nostro paese: il patrimonio privato degli italiani non ha eguali in Europa e non solo[5] e, forse, questo è anche uno dei motivi dell’acredine da parte degli altri Paesi. Ma può essere anche motivo di soddisfacimento tributario da parte dello Stato: le possibilità di imposta patrimoniale sono molteplici e remunerative.

I “supporters” della patrimoniale

Quelli nazionali sono diversi e “propongono” una imposta patrimoniale che va dall’1% al 2% (magari denominandolo “prestito di solidarietà”), secondo i quali la misura può costituire una buona soluzione per consentire al Paese di uscire dalla crisi in modo veloce e senza andare ad indebitarsi ulteriormente. Il fatto è che, al momento, nessuna patrimoniale sostenibile potrebbe essere d’ausilio ad un debito pubblico che, come già evidenziato, nel 2020 è stimato aumentare di un centinaio di miliardi di euro.

Dall’estero, dalla Germania, un magazine tedesco ha pubblicato un articolo secondo il quale il Governo guidato dalla Merkel, che ben conosce il livello di ricchezza privata degli italiani, avrebbe ipotizzato in tempi appena pre-Covid-19 una aliquota del 14%, ricavata residualmente tra entità del debito pubblico al livello di quel momento con quanto fosse necessario per portarlo al target del 60% del Pil come previsto nei parametri di Maastricht.

Si ha motivo di credere che tale proposta non possa che consistere in una provocazione: Tino Oldani su Italia Oggi scrive: Per una famiglia cedere al fisco il 14% del proprio immobile comporterebbe svenderlo per avere il cash necessario a pagare una patrimoniale sulla casa, la seconda oltre all’Imu, e su altri beni, come il conto corrente e i risparmi sotto qualsiasi forma, come Bot, Btp, azioni, obbligazioni, fondi comuni e così via, tutti tracciabili. Ma se questa tassa killer arrivasse per davvero, gli stessi banchieri temono che l’intero sistema finanziario crollerebbe, proprio a partire dalle banche”.

Conclusioni

Certamente per introdurre una (altra) patrimoniale (rispetto a quelle già esistenti) occorrono capacità tecnica e solida nonché coerente volontà politica. Qualità rare da tempo, specie la coerenza.

Una difesa dalla patrimoniale consiste nel pianificare ed agire per tempo ed individuare quegli interventi che conducono con l’attenzione e le specificità del caso al settore del lavoro (delle aziende in primis), alle altre forme di investimento che non sono solitamente oggetto di patrimoniale (gestioni finanziarie separate nel campo finanziario, opere d’arte, gioielli, mobili antichi ed oggetti di valore) ed anche all’immobiliare, che non dovrebbero essere gli asset destinatari di questa falcidia.

In fin dei conti se il prelievo forzoso non può essere evitato, ci sono comunque due modi per subirlo: essendo preparati o non essendo pronti.

Sezione III°) RISCHIO DI AUMENTO DELL’IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI

Introduzione

L’imposta patrimoniale è tra le più odiate e temute considerando che colpisce una ricchezza già tassata alla fonte come reddito, anche per questo i casi più o meno sotterranei di patrimoniale tricolore prendono altri nomi[6].

Ma quel sentimento viene frequentemente associato anche ad un’altra imposta, sempre sulla ricchezza e specificamente sui trasferimenti della stessa, che ha già passato le forche caudine tributarie: l’imposta sulle successioni e donazioni.

Premessa

Viviamo in un mondo ove il bene più prezioso che esista è il possesso delle informazioni che riguardano il nostro futuro. Ciò in ogni ambito: politico, sociale, d’ordine pubblico, di sicurezza, meteorologico, economico, finanziario.

Tutti i soggetti (economici, finanziari, politici, sociali, ecc.) investono enormi risorse economiche e dispiegamento di mezzi per cercare di capire che cosa accadrà, ed agire di conseguenza.

Allora come potrà essere possibile che un evento certo come è la morte non possa essere studiato e prepararvisi, per quanto possibile, posto che provoca determinate conseguenze, anche tributarie?

Parimenti in termini della migliore allocazione dei beni che costituiscono il patrimonio di una persona, di una famiglia, di una azienda.

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Non solo in caso di morte

Ci si riferisce alle imposte di successione quando, in realtà, nello stesso corpus normativo tratta in maniera simile sia la tassazione nei casi di successione ereditaria che nei casi di donazione. Ciò anche se successioni e donazioni sono notoriamente istituti civilistici estremamente diversi[7] che hanno presupposto impositivo (ovviamente) differente anche se talvolta correlato.

A maggior ragione per la circostanza che, e si farà qualche accenno nel prosieguo, l’imposta oggetto della presente trattazione è l’imposta “base”, di riferimento di ogni piano di successione generazionale e di segregazione/messa in sicurezza patrimoniale.

L’imposta di successione e donazione

Inquadramento amministrativo

L’imposta sulle successioni e donazioni[8] appartiene al gruppo delle “imposte sugli affari”, ed assieme all’imposta di registro viene denominata un’imposta sui trasferimenti.

Un minimo di storia

L’imposta è stata introdotta nella penisola italica nel Regno di Napoli e modificata dalle autorità francesi durante la loro permanenza in Italia tra il 1806 ed il 1815. Il “modello” successorio francese, così come acquisito, trova la sua fondamentale motivazione in ragioni extratributarie: l’obiettivo della monarchia francese di spezzettare i grandi patrimoni della nobiltà obbligandone la suddivisione su più legittimari ad ogni passaggio successorio (cd. “legittima” necessaria).

A fine 1800, nell’Italia unita, sorge l’esigenza di regolamentare l’imposizione sui trasferimenti di ricchezza che avviene sia per atto contrattuale “tra vivi” ma anche verso i trasferimenti di beni e diritti a causa di morte.

Nel 1897 viene quindi emanato un regolamento che, finalizzato a prelevare tributi al momento della successione nel patrimonio ereditato, struttura una alta imposizione con aliquote proporzionali, per essere modificato dopo appena cinque anni con l’accoglimento di una progressività dell’imposta, che consentiva una attenuazione dell’imposizione.

Nel corso degli anni l’imposta di successione ha subito ulteriori modificazioni, direttamente connesse alle diverse politiche sociali attuate nel tempo. Nel 1923, per esempio, l’onere fiscale successorio venne ridotto in caso di trasferimenti di patrimoni all’interno del nucleo familiare “ristretto”. Nel 1930 sono stati concessi (ulteriori) consistenti benefici nell’ambito di coloro “che avevano procreato più di un figlio”, anche quale risposta alle politiche demografiche del tempo che, per converso, avevano introdotto l’ “imposta sui celibi”[9].

Morte (e rinascita) dell’imposta sulle successioni e donazioni

L’imposta di successione fu abolita[10] (Legge 383/2001), con decorrenza 25 ottobre 2001[11].

Nel 2006 (col cosiddetto decreto Visco-Bersani DL 226/2006), con una tecnica legislativa quantomeno “discutibile”, è stata grossolanamente riesumata nello stesso testo vigente al momento della precedente abrogazione (D.Lgs. 346/1990[12]), con la “buona sorte” che non capita spesso per coloro che nel periodo 2001-2006 sono decedute!

L’imposta, oggi in vigore, si applica sui trasferimenti di beni e diritti -anche se collocati all’estero- per successione a causa di morte, per donazione o a titolo gratuito[13].

La “felice” situazione dell’Italia

Pur essendo stata ripristinata, la tassazione sulle successioni e donazioni prevede aliquote del 4-6-8% che si applicano solo oltre 1 milione per discendente e/o coniuge (ovvero esenti fino ad 1 milione), e/o 100.000 per i fratelli.

L’imposizione è nulla per i titoli di stato (non per le donazioni) con calcolo forfettario fino al 10% dell’asse ereditario per denaro, gioielli, mobilia e le opere d’arte (di ogni tipo, anche un Luigi XVI di inestimabile valore) da ben valutare per via delle varie possibilità di trattamento anche in ottica futura.

Il livello di tassazione è riassumibile come da seguente tabella (tratta da “Il Sole 24 Ore”):

Occorre segnalare che il criterio di assunzione dei valori posti a base della tassazione è generalmente favorevole al contribuente: valori generalmente storici (catastali) con riferimento ai beni immobili e valori contabili per quanto riguarda le aziende.

Il regime di vantaggio per la successione di denaro, gioielli e mobilia

In relazione ad alcuni beni, e precisamente denaro, gioielli e mobilia, la norma dispone che quest’ultimi si presumono compresi nell’attivo ereditario “per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario” (ovvero, eccedente la franchigia), anche se non dichiarati o dichiarati in misura inferiore.

Il confronto con regimi fiscali esteri

Pur essendo stata ripristinata la tassazione sulle successioni e donazioni, l’Italia è

Pur essendo stata ripristinata la tassazione sulle successioni e donazioni, l’Italia è attualmente un paradiso fiscale rispetto alle tassazioni estere in materia.

Se da un lato l’imposta media Ue è del 21%, quella italiana del 4%.

Paesi benchmark dell’Italia prevedono i seguenti trattamenti (bordato in rosso: il trattamento nei confronti dei figli):

Forze convergenti

Un report dello scorso 5 febbraio condotto dall’ “Osservatorio Conti Pubblici Italiani” presso l’Università Cattolica di Milano, a guida di Carlo Cottarelli, riferisce che l’OCSE di Parigi ha quantificato il gettito fiscale italiano annuale per imposte di successioni e donazioni in 820 milioni di euro, contro i 2,7 miliardi della Spagna, i 6,8 miliardi della Germania e i 14,3 miliardi della Francia.

Nello studio viene enfatizzata la circostanza che la “generosità” verso i contribuenti italiani rispetto agli altri Paesi europei si materializza con aliquote più basse e non progressive, oltre a franchigie (livello di esenzione, come noto) più alte.

In ambito Ue, inoltre, si spinge affinchè il Governo italiano intervenga mediante una o più misure di aumento del gettito per annullare il differenziale.

Il movimento di opinione sta già lavorando: l’informazione passa la notizia come se l’Italia, in modo inadeguato, inefficiente ed antistorico, si stia facendo sfuggire risorse da considerarsi come “proprie” rispetto ad altri paesi europei…

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Han già pensato di aumentarla

Gennaio 2015

Alcuni deputati già presentarono nel gennaio 2015 una proposta per elevare l’imposizione sulle successioni e donazioni.

Le modifiche proponevano, nel dettaglio, di:

– aumentare l’aliquota al 7% contemporaneamente riducendo la franchigia da 1 milione a 500mila euro per i coniugi e i parenti in linea retta

– aumentare l’aliquota all’8%, col mantenimento della franchigia di 100 mila euro, per i fratelli e le sorelle

– aumentare l’aliquota al 10% per parenti fino al quarto grado e affini

– aumentare l’aliquota al 15% per tutti gli altri soggetti

del valore ereditato.

Per le eredità di valore superiore a 5 milioni di euro le aliquote di cui sopra triplicate[14]; un vero e proprio salasso:

– 21% di aliquota per coniugi e figli,

– 24% per fratelli e sorelle,

– 30% per parenti fino al quarto grado e affini,

– 45% per tutti gli altri.

Infine viene specificato che le suddette aliquote si sarebbero dovute applicare anche alle donazioni.

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Febbraio 2016

Nel febbraio dell’anno successivo il Governo Renzi, per il tramite del suo Ministro dell’Economia Padoan, annunciò che stava studiando una modifica normativa sulle eredità, assumendo a sua base le misure individuate dai deputati un anno prima circa. Ovvero di aumentare le aliquote ma riducendo le franchigie a 300/400 mila euro.

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Rischio di aumento a breve

Quanto di seguito deve essere ponderato alla luce delle circostanze e dei valori oramai resi “insignificanti” rispetto ai conti pubblici determinati dall’emergenza e/o della teorica necessità di bilancio per via del debito pubblico assunto.

Nello scorso febbraio il Governo, per bocca dell’attuale Ministro dell’Economia Gualtieri, era piuttosto concentrato, tra le altre cose, alla riforma del catasto. Semplicemente perché tale piattaforma -nel rivisitare i valori da assumere a base imponibile- la si può facilmente rendere fiscalmente redditizia, magari anche a parità o con un modesto aumento delle aliquote politicamente accettabile od addirittura benvenuto.

Si valutò come “ragionevole” l’ipotesi di mantenere franchigie sufficientemente elevate per evitare che l’incidenza gravasse prevalentemente sulle proprietà immobiliari dei ceti medio-bassi ma al tempo stesso aumentare le aliquote e la loro progressività sui trasferimenti di maggior valore. Ciò anche per evitare che il provvedimento fosse percepito come una “tassa sulle disgrazie”.

In epoca lockdown, inoltre, una forza politica ha proposto l’aumento dell’aliquota dell’imposta di successione (e donazione) con il contemporaneo abbassamento a 500 mila euro della soglia di esenzione ed aliquote fino al 50%, secondo un seguente schema:

– fino a 500.000: zero,

– da 500.000 a 1.000.000: 5%,

– da 1.000.001 a 5.000.000: 25%,

– oltre 5.000.000: il 50%,

ma anche di colpire, in via straordinaria, tutte le donazioni ricevute in vita aggiungendovi anche una parte di fondi di investimento o titoli di stato passati da padre a figlio.

Ciò, oltre all’aggiornamento delle rendite immobiliari.

Riforma delle rendite catastali

La riforma delle rendite catastali fu annunciata dal direttore Agenzia delle entrate Rossella Orlandi nel corso di un convegno dell’Ordine degli Architetti ed Ingegneri di Roma l’11 marzo 2015, oltre 5 anni fa. Rivelava, a nome dell’Amministrazione finanziaria, che il “nuovo catasto” sarebbe partito dai valori di mercato degli immobili, “mettendo fine alle clamorose sperequazioni presentate dall’attuale sistema”. A tal fine sarebbe occorso vagliare, mediante l’individuazione di quotazioni e canoni in zone omogenee e l’applicazione di coefficienti in dipendenza delle caratteristiche del singolo immobile, oltre 62 milioni di unità.

La riforma ha, ed i tempi lo attestano in maniera evidente, incontrato notevoli difficoltà fino a non aver ancora trovato la luce. Un problema che ha quantomeno impedito il risultato è l’ordine di ingaggio della riforma: deve (doveva) avvenire in “invarianza di gettito” (totale), espressione che impone l’individuazione di un meccanismo generale di redistribuzione più “equa”, a parità di incasso totale, perché più correlata ai valori reali (il cui effetto è che ci sarà qualcuno che dovrebbe pagare di meno e chi di più).

Recentemente, lo scorso febbraio 2020 in una audizione parlamentare, il Ministro per l’economia Gualtieri ha ennesimamente annunciato la riforma del catasto.

La vicenda non è, come noto, di poco conto se si considera che il gettito fiscale annuale sugli immobili ammonta a circa 41 miliardi e che il valore complessivo delle abitazioni è (sarebbe) una fortuna: 5.526 miliardi di euro.

L’approvazione della riforma consentirebbe di accogliere uno dei suggerimenti del Fondo Monetario Internazionale: quello di ampliare le basi imponibili attraverso l’aggiornamento dei valori catastali, così come espresso dal Fondo Monetario Internazionale nel documento “Staff Concluding Statement of the 2020 Article IV Mission” emesso dopo una missione nel nostro Paese di una sua delegazione.

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Rishi Goyal (capo missione in Italia dell’FMI)

Voci contro all’aumento dei valori catastali in maniera indiscriminata rimarcano il fatto che sussiste, ad oggi, un vastissimo numero di immobili che hanno perso valore, essendo privi di mercato, e per i quali un aggiornamento catastale obiettivo dovrebbe condurre alla sensibile riduzione, quando addirittura ad un azzeramento, del valore da parte dell’Agenzia del Territorio. Diversamente non potrebbe che aprirsi una stagione di vasta litigiosità tributaria. 

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Gli effetti, non certamente a breve

L’aumento dell’imposta sulle successioni e donazioni non potrà avere benefici immediati per le casse dello stato, perlomeno fino a quando il numero dei decessi e la fiducia nell’economia (che supporti ed incentivi i trasferimenti di ricchezza e gli investimenti, diversamente da ora, per come sta accadendo) non dipendano da scelte dello Stato stesso e/o della politica!

Ciononostante non si può confidare su una attivazione in tal senso, nella considerazione che se mai si comincia mai si realizza alcunchè. Ed inoltre, aspetto non secondario, purtroppo, un provvedimento di aumento dell’imposta metterebbe l’Italia in pari con gli “standard europei” da ostentare agli altri capi di stato.

L’incumbent risk è reale, ancorchè non sia minimamente pensabile che porti soluzione (assieme agli altri tributi) alle casse statali.

Conclusioni

Da un lato, soprattutto all’estero, v’è l’orgoglio di pagare in quanto “nel ricevere un lascito è onorevole lasciarne una cospicua parte al Paese che ha consentito di diventare benestanti o ricchi”.

Ma se la l’imposta di successione è percepita come un sacrificio non proporzionato al beneficio che ai cittadini deriva dall’impiego della spesa pubblica… allora la tassa di successione diventa veramente odiosa. Anche denominata “tassa sul morto”, è facilmente contestabile ove si riconduca al fatto che colpisce un patrimonio che è stato formato dopo aver pagato le imposte.

Inoltre il panorama nazionale, nel tempo, non ha mai offerto una legislazione che abbia affrontato seriamente l’argomento: norme che hanno spesso colpito i meno furbi o coloro sfortunatamente colpiti da eventi luttuosi.

Una riforma, anche di filosofia superando l’impianto normativo, non può riduttivamente riguardare qualche punto percentuale in più e qualche centinaio di migliaia di euro in meno di franchigia.

In fin dei conti si tratta pur sempre di dare un peso economico a comportamenti giuridici per far incontrare economia (bisogni) e diritto (scale di valori riconosciute), patrimonio attuale e futuro sotto l’egida dei comportamenti umani.

Diversamente si potrebbe ricorrere all’invito, dei due consulenti finanziari di Wall Street Stephen M. Pollan e Mark Levine, Muori squattrinato, per risolvere il problema alla radice…

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NOTE:

[1] di concezione francese, basato sulla raccolta di liquidità data all’emissione di Recovery Bond da erogare a fondo perduto agli stati.

[2] che verranno indirettamente restituiti dagli italiani nella misura di 41 miliardi (stima dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio), sia con la contribuzione netta del Paese che con gli oneri tributari derivanti dalle nuove tasse Ue.

[3] in realtà anche per tutelare lo Stato di diritto attraverso la costituzione della SuperProcura europea ma anche per «promuovere la pluralità dei mezzi di informazione» e combattere la «disinformazione».

[4] La “curva di Laffer è una linea di andamento che mette in relazione l’aliquota di imposta (asse delle ascisse) con le entrate fiscali (asse delle ordinate). Fu impiegata dal Prof. Arthur Laffer, economista dell’Università della Southern California (Usa) … secondo il quale esiste un livello di prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più “conveniente” ed il gettito fiscale si riduce, e che sussiste un’aliquota fiscale che massimizza il gettito fiscale (https://it.wikipedia.org/wiki/Curva_di_Laffer).

[5] Il rapporto fra la ricchezza netta delle famiglie e il reddito disponibile è più alto in Italia che negli USA, in Germania, in Francia o nel Regno Unito.

[6] Si va dall’ “Imu”, l’imposta sugli immobili detenuti sul territorio nazionale (ad eccezione delle prime case), all’imposta di bollo sui conti correnti e sulle gestioni patrimoniali, ai corrispettivi esteri (“Ivie” sugli immobili oltreconfine ed “Ivafe” sui conti correnti e investimenti finanziari esteri).

[7] il primo mortis causa, il secondo per gli atti di trasferimento di ricchezza tra vivi.

[8] assieme alla imposta di registro, alle imposte di assicurazione, ipotecarie e catastali, all’imposta di bollo, alla tassa sulle concessioni governative.

[9] L’imposta “sui celibi”, una forma impositiva con finalità demografiche, oggi si classificherebbe “di scopo” viene introdotta nel 1926 quale sostegno alla politica demografica del Governo del tempo tesa alla crescita della popolazione. Per conseguire le finalità dell’imposizione, il gettito ricavato dell’imposta era destinato all’ “Opera nazionale maternità ed infanzia”.

Il presupposto impositivo si imperniava… sullo stato civile, all’età e, solo marginalmente, al reddito. Anche l’impianto sanzionatorio era differente a seconda dell’età dell’ “evasore”.

Chi, da una certa età, rimaneva celibe doveva pagare l’imposta e la sua progressività era in funzione dell’età: un celibe “incallito” pagava il massimo.

Scaglioni:

celibe fino a 25 anni: zero imposta;

– celibe da 25 fino a 35 anni: 35 lire;

– celibe da 35 fino a 50 anni: 50 lire (il massimo per via del “massimo rigoglio fisico dell’uomo”);

– celibe da 50 fino a 65 anni: 25 lire;

– da 65 anni: esente.

Esenzioni previste:

sacerdoti, ma solo di culto cattolico;

– religiosi che avevano pronunciato il voto di castità (che però non era previsto dovesse essere dimostrata);

– grandi invalidi di guerra;

– interdetti, inabilitati, ecc.

Le nubili non sono state prese in considerazione alcuna dalla normativa.

Agevolazioni. La normativa prevedeva, coerentemente allo spirito ed alle finalità, agevolazioni a favore delle famiglie numerose: l’esenzione dalle imposte sui redditi era totale con la nascita del settimo figlio in famiglia. Dagli atti parlamentari: “dopo aver penalizzato chi si sottraeva al dovere del florido sviluppo della nazione -ovvero i celibi, n.d.r.- occorre premiare chi, nel legittimo matrimonio, applicare il precetto biblico crescete e moltiplicatevi.”

[10] dalla relazione di accompagnamento al provvedimento di legge si evincono le ragioni che hanno portato alla abolizione del tributo, che sono attribuibili a ragioni di tipo politico e di tipo economico, ma anche per motivi di opportunità sia finanziaria che socio-economica.

Politicamente, l’imposta di successioni e donazioni, è superata dalla storia. Espressione di un’ideologia sviluppata nell’800 contro i “rentiers”, questo tipo di imposta è superato dalla progressiva estensione di altri e più efficienti strumenti sociali e fiscali, mirati all’equità ed al “Welfare””.

Con riferimento alle ragioni di tipo economico, si affermava: “[l’imposta] è spiazzata dalle evoluzioni intervenute nella struttura della ricchezza. Lo scenario originario dell’imposta, costituito da “assets” patrimoniali fisici, localizzati e controllabili, è infatti progressivamente svanito all’interno di uno scenario in cui la ricchezza, nelle sue parti strategicamente più rilevanti, è progressivamente dematerializzata e globalizzata, così da fuoriuscire dal campo di applicazione degli strumenti fiscali territoriali originariamente tipici della fiscalità nazionale.”

In termini di opportunità finanziaria si sottolineava che il costo gestione del tributo, compresa l’attività di accertamento e controllo degli adempimenti dei contribuenti, era di poco inferiore al ricavato.

Infine, relativamente alle ragioni di opportunità socio-economica, si metteva in evidenza che la composizione sociale del complesso dei contribuenti si caratterizzava per una appartenenza ad una categoria titolare di patrimoni di medio-bassa consistenza. Ipotizzando che “Le ragioni di ciò sono (erano) prevedibilmente ravvisabili nella minore attitudine, di questa categoria di soggetti passivi, a ricorrere a sofisticate pianificazioni per porre a riparo il proprio patrimonio da menomazioni fiscali.”

[11] ma non per l’eccedenza di euro 180.579,91 euro per donazioni ad estranei ai familiari e non le imposte ipotecarie e catastali, per cui permaneva l’obbligo di dichiarazione in caso di successione di beni immobili e loro diritti reali.

[12] nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.

[13] e sulla costituzione di vincoli di destinazione.

[14] Art. 49-bis proposto: «Le aliquote previste dal precedente comma 49, lettere a), b), c) e d), relative ai trasferimenti di beni e diritti per donazione soggetti all’imposta di cui al comma 47, eccedenti la soglia di 5 milioni di euro sono triplicate per ciascuna delle fattispecie di cui alle citate lettere».

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