Questo l’effetto del proposto progetto di “patrimonale”, rectius di “patrimoniali” (annuale, in ogni anno).

… quando un plurale fa la “differenza”…

Aggiornamento del 17 dicembre 2020

Stop alla patrimoniale, per ora

Lavori parlamentari. La manovra di bilancio in discussione presso la Commissione bilancio della Camera è congelata per via dell’ “ingorgo” causato dalla necessità di convertire in legge i quattro decreti “Ristori” (la cui emanazione non è terminata, in quanto sulla rampa sta rullando il n. 5, drammaticamente denominato “final”).

Patrimoniale bocciata, per ora. Ciò non ha impedito, però, durante l’esame degli emendamenti, uno strategico ritiro da parte dei proponenti -poco prima della preannunciata bocciatura- della “proposta Fratoianni-Orsini” di istituire una patrimoniale “annuale”, un prelievo a regime sul patrimonio al netto delle passività direttamente riferibili (mutuo, ad esempio) al fine di colpire patrimoni “grandi” che, al cospetto dei calcoli, proprio così grandi non sarebbero poi stati. Il Governo e per esso i relatori alla legge di Bilancio 2021hanno infatti dato parere contrario all’emendamento, per cui la commissione parlamentare ha stralciato la proposta.

Mini flash back: l’emendamento in questione era partito zoppo: bocciato in fase di inserimento ma incomprensibilmente riammesso con una motivazione che, di per sé, costituirebbe motivo di rigetto: per via della “difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito derivanti dalla proposta emendativa, fermo restando che più puntuali informazioni potranno essere acquisite in proposito dal Governo nel corso dell’esame dell’emendamento stesso”. Ovvero, proprio perché è “buttato lì”… fu ammesso.

Prospettive. Rischio finito? No, i proponenti Fratoianni ed Ordini sono intervenuti specificamente e, nel prendere atto del parere negativo, hanno dichiarato che ripresenteranno l’emendamento direttamente in aula e poi anche al Senato, precisando che “in questi giorni molti, anche nella maggioranza, hanno aperto all’idea di una patrimoniale, pur criticando la nostra proposta. Siamo ovviamente disponibili a riformularlo insieme in modo da trovare un testo condiviso, ma invitiamo tutte le forze di maggioranza a trovare il coraggio di fare una scelta giusta. E chiediamo al governo di riflettere sul proprio parere contrario ancor più in questa fase drammatica c’è bisogno di dare alle nostre azioni il segno della giustizia sociale e dell’uguaglianza».

Conclusione. Ai proponenti, che stimolavano l’emulazione della Spagna quanto ad introduzione della patrimoniale, si potrebbe far presente l’indirizzo opposto della Germania, ove la Merkel ha rifiutato la proposta fattale di una patrimoniale perché non aiuterebbe la crescita del Paese, vero motore delle entrate fiscali (l’esempio dell’attuale pessimo andamento delle entrate tributaria Italia è lampante).

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Premessa

Come per tradizione oltre che, ultimamente, per paura degli eventi incombenti, la ricchezza netta delle famiglie italiane, intendendo per tale i beni immobili e le attività finanziarie detratti i prestiti, incrementandosi mese per mese, ha raggiunto livelli pro-capite che nessun paese occidentale può ambire. Si può intuire che tali patrimoni possano possa rientrare tra gli obiettivi da colpire per procurarsi del gettito fiscale.

A firma di alcuni deputati riferibili alla maggioranza di Governo è stato presentato un emendamento[1] alla Legge di Bilancio 2021 che propone di apportare una (parziale) revisione di due delle attuali “patrimoniali” esistenti: l’IMU (sulle seconde case e/o sulle case di lusso, di fatto[2]) e le imposte sui conti correnti[3] e depositi titoli[4], con l’introduzione di una patrimoniale annuale, “a regime” (da pagarsi ogni anno: ecco perché patrimoniali e non patrimoniale) dal 1° gennaio 2021.

La discussione della Legge di Bilancio 2021 contemporaneamente propone altre misure del tutto antitetiche: la reiterazione della voluntary disclosure[5] e l’introduzione di una sanatoria dei contanti. Ma il risultato complessivo dei provvedimenti (“condono” + patrimoniale) si manifesterebbe come incompatibile nella logica: ti invito a regolarizzare l’innominabile “nero” per tassartelo di qui all’eternità.

Il presente intervento non intende, come sempre, prendere parte al dibattito in corso bensì analizzare quanto noto e tradurlo, anche nella pratica, al fine di presagire la situazione teoricamente incombente nel futuro, tenendo conto delle considerazioni esposte nel paragrafo “conclusioni”.

Imposta sui grandi patrimoni

Denominata “imposta ordinaria sostitutiva sui grandi patrimoni”, si tratta (tratterebbe) di una imposta ordinaria, sostitutiva, su patrimoni “grandi”, mobiliari ed immobiliari, ovunque detenuti. Un patrimonio “grande” sarebbe quel patrimonio il cui valore, detratte le passività finanziarie relative (mutui, leasing, ecc.), superi somma di 500 mila euro.

“Declassificando”:

– imposta ordinaria = tutti gli anni;

– sul patrimonio = vi rientrano i beni immobili che le attività finanziarie (azioni, obbligazioni, Fondi, ETF, crediti, altro)

– ovunque detenuti = sia in Italia che all’estero;

– patrimonio “grande” = quando il totale (tolti i debiti relativi al patrimonio) supera 500 mila euro.

Si ravvisa che sia più “facile” di quanto si possa istintivamente pensare raggiungere la soglia di imposizione, se si è proprietari di un immobile, anche oggi e senza poi considerare l’imminente revisione delle rendite catastali.

Aliquote

Sulla base imponibile costituita dal valore di tutti i beni immobili, gli investimenti e le attività finanziarie detenuti sia in Italia che all’estero, la proposta di legge prevede un sistema ad aliquote progressivo articolato secondo il seguente schema:

– 0,20% su patrimoni da 500.000 fino a 1 milione euro;

– 0,50% su patrimoni da 1 a 5 milioni di euro;

– 1,00% su patrimoni da 5 a 50 milioni di euro;

– 2,00% su patrimoni da 50 milioni di euro in su.

Solo per il 2021: per patrimoni dal miliardo di euro, numericamente risibili, sarebbe previsto un prelievo straordinario di solidarietà del 3%.

Nuovo adempimento – La dichiarazione annuale sul patrimonio

Gli elementi relativi ai presupposti nonché al calcolo, riferibile ad una sua ordinarietà annuale, costringono ad un nuovo ed apposito nuovo adempimento per l’individuazione, la redazione ed il versamento della nuova imposta: la “dichiarazione annuale sul patrimonio” (o similaria). È specificato che la stessa andrà ad alimentare una (ulteriore!) banca dati da valere quale anagrafe dei patrimoni posseduti dai contribuenti (sia in Italia che all’estero).

La storia italiana conosce già dichiarazioni fiscali relative al patrimonio

Sanzioni

Draconiane le misure: dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato, come prese pari pari per coloro che detengono “immobili, investimenti ovvero altre attività di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia” e non li dichiarano nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi ai fini del monitoraggio fiscale.

Ulteriori e doppiE tassazioni

Come non osservare in via preliminare che tali imposte costituiscono quasi certamente una rilevante se non totale assorbimento dei rendimenti di quel patrimonio? Di fatto, i redditi colpiti dalla patrimoniale sarebbero stati tassati due volte: la prima dalle molte imposte sostitutive che caratterizzano il nostro sistema fiscale, la seconda attraverso la stessa patrimoniale. E quindi la patrimoniale costituirebbe una imposta ulteriore sui rendimenti di quella ricchezza se chi ha concepito la nuova imposta non abbia previsto, come appare chiaramente[6], di abolire anche le imposte che gravano sui redditi delle attività immobiliari e finanziarie.

Oppure, un ulteriore caso problematico appare, prima facie, qualora una persona avesse comprato/conferito immobili avvalendosi di società così come consentito dalla legge. Gli immobili verrebbero comunque assoggettati ad IMU ed il socio verrebbe anch’egli assoggettato a patrimoniale: un doppio prelievo sullo stesso patrimonio!

Senza poi considerare che quella ricchezza è generalmente stata formata con ricchezza che ha già pagato imposte.

Problema di liquidità

La detenzione di un patrimonio “grande”, magari per effetto di aumenti di valore incrementati nel tempo o ancor peggio per effetto di rendite catastali rivalutate non assicura la disponibilità di sufficiente liquidità per onorare il debito introdotto con l’emendamento. In tal caso sono ipotizzabili, certamente sui grandi numeri, un’incidenza di situazioni che, oltre al danno individuale, andranno ad infierire sulle quotazioni di mercato.

Effetti macro

Come riconosce la Scienza delle finanze, la patrimoniale presenta i vantaggi della “semplicità”, della celerità ed “economicità” dell’incasso (si pensi alla Manovra notturna del Governo “Amato-bis” del 10/7/1992). Tuttavia ad una soluzione semplice per un Governo corrispondono abituali effetti macroeconomici molto pesanti per il Paese: da un crollo della fiducia (elemento fondamentale in economia) a quello della disponibilità sul territorio di fondi rispetto ad un istintivo o magari vendicativo deflusso di capitali all’estero, oltre che un contraccolpo sul mercato immobiliare.

I prelievi che incidono sul patrimonio, inoltre, provocano una emblematica regressione degli investimenti proprio in questa fase storica nonché, ancor più segnati dalla paura del contesto, hanno un effetto di contrazione dei consumi e di aumento della massa monetaria tenuta ferma[7] e macroeconomicamente improduttiva. Una patrimoniale che certamente soddisfa assolutamente in via insufficiente le casse statali ma rappresenta un boomerang che sottrare risorse e fiducia a chi potrebbe immetterle nel tessuto economico.

Una patrimoniale rappresenta il provvedimento opposto alla canalizzazione del risparmio a fini produttivi soprattutto in questo momento di grande quantità di liquidità giacente sui conti correnti (vedi QUI), strategia attribuibile al sentimento di incertezza e sfiducia dominante.

Gettito ipotizzato

Flash back sui punti cardine: i patrimoni tassati sarebbero quelli relativi agli immobili che le attività finanziarie a fronte di una abolizione dell’IMU e dell’imposta di bollo su conti correnti e depositi titoli.

Imposte da eliminare:

– IMU su case di lusso o seconde case: 0,86% (max 1,06%), come noto la abitazione principale (cd. “prima casa”) è esclusa;

– imposta di bollo sui conti correnti: max 34,20 euro;

– imposta su depositi titoli: 0,20%.

Imposte da introdurre:

Patrimoniale: aliquote dallo 0,20% a 2%, a partire da 50 mila euro, su immobili ed attività finanziarie.

I firmatari della proposta affermano di riuscire ad incassare gettito aggiuntivo di 18 miliardi l’anno, che vorrebbero utilizzare per ridurre le tasse a beneficio dei redditi medi e medio-bassi[8]. Affermano che la patrimoniale proposta colpirebbe meno del 10% dei contribuenti ma con la dote di cancellare alcune imposte come appena evidenziato.

Venga consentito di dubitare in ordine al raggiungimento di quel risultato “aggiuntivo” ove si consideri che solo il gettito IMU e Tasi ammontano rispettivamente a 16,301 + 1,156 = 17,457 miliardi (dati Ministero dell’Economia e delle finanze) in quanto ciò significherebbe che la patrimoniale debba consentire un gettito di 35 miliardi circa.

Il gettito tributario italiano riferito all’Irpef anno 2018 è dato dalla seguente scomposizione (fonte Agenzia delle entate):

Nel tener conto che:

– i soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300 mila euro rappresentano lo 0,1% del totale dei contribuenti,

– oltre il 50% della ricchezza degli italiani è concentrata nei beni immobili detenuti in una buona aliquota da pensionati e dipendenti,

– la categoria dei “ricchi” -come emerge dalla tabella del reddito (pur comprendendo che il reddito certamente non fotografa con certezza la posizione patrimoniale ma dà una indicazione delle potenzialità di una manovra tributaria)- sui quali scaricare le aliquote redditizie più alte rappresenta una percentuale esigua dell’intera platea,

ci si deve aspettare che la cifra ipotizzata dai firmatari non possa essere raggiunta.

Ed allora viene il dubbio che la proposta emendativa contenga un messaggio perlopiù politico oppure, nonostante l’inefficacia di gettito, voglia costituire il preambolo per future manovre tributarie[9] e/o in attesa della riforma delle rendite catastali, funzionali alla determinazione della base imponibile.

Vorremmo considerare l’emendamento un tassello di un disegno di politica tributaria, pur non condivisibile in quanto punterebbe sulla redistribuzione dell’esistente invece che puntare alla crescita, anziché la puntata di un serial demagogico che disintegra la fiducia nello Stato.

Conclusione

Se si volesse dar credito alle dichiarazioni, perlomeno pubbliche, di esponenti del Governo e dei maggiorenti dei principali partiti che lo sostengono in base alle quali la proposta emendativa verrebbe declinata, l’emendamento verrebbe rigettato e quindi non sussisterebbero grandi possibilità[10] che le paventate misure non trovino definitiva emanazione.

L’esperienza insegna che il marketing “politico”, chiamiamolo così, tesse trame avvalendosi di sceneggiature attribuite a vari attori con cui portare a compimento un disegno legislativo.

La cronaca a cui stiamo assistendo può comunque costituire un valido riferimento rispetto ad una delle possibilità per lo Stato di esercitare la potestà impositiva. L’augurabile stralcio dell’emendamento all’esame nei prossimi giorni non è un buon motivo per distrarsi sul come evitare una patrimoniale in maniera legale, o comunque attenuarne gli effetti, qualora si presentasse all’orizzonte in un prossimo futuro. Trattasi di informazioni, relative al presente e futuro del patrimonio di risparmiatori e famiglie, che offrono un’importante occasione di riflessione. Ma anche un grave monito (vedi QUI).


NOTE:

[1] il n. “62.05” che, a firma dei deputati Fratoianni Nicola, Orfini Matteo ed altri, si propone l’inserimento dell’art. 194-bis, dapprima stralciato ma poi, dietro ricorso del presentatore deputato Nicola Fratoianni, riammesso per via della “difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito derivanti dalla proposta emendativa, fermo restando che più puntuali informazioni potranno essere acquisite in proposito dal Governo nel corso dell’esame dell’emendamento stesso”.

[2] Nella misura base dello 0,86% (aumentabile sino all’1,06%).

[3] ai sensi dell’Art. 13, n. 2 bis, Tariffa, parte prima, DPR 642/72, l’imposta di bollo sui conti correnti bancari, postali, rendiconti dei libretti di risparmio, di importi superiori ad euro 5.000,00 di giacenza media, ammonta ad euro 34,20 annui.

[4] ai sensi dell’Art. 13, n. 2 ter, Tariffa, parte prima, DPR 642/72, l’imposta di bollo dovuta sulle comunicazioni periodiche alla clientela relative a prodotti finanziari, anche non soggetti ad obbligo di deposito, ivi compresi i depositi bancari e postali anche se rappresentati da certificati, ammonta allo 0,2% annuo.

[5] come proposto da deputati di una forza politica che supporta la maggioranza di Governo ed una all’opposizione, ed analogamente a quanto invitato a realizzare dalla cd. Task Force di Colao esposta agli Stati Generali della prima forza politica italiana durante l’estate scorsa che suggeriva all’esecutivo, tra l’altro, di procedere alla “regolarizzazione del contante con l’obbligo di investimento di una parte dell’ammontare per cinque anni in strumenti di supporto del Paese”, nonché similmente ad una proposta del primo esponente del Governo Renzi di qualche anno fa.

[6] e si può immaginare che i redattori della bozza di norma non abbiano approfondito le relative implicazioni.

[7] Durante eventi eccezionali la reazione delle famiglie, soprattutto quelle italiane che da sempre serbano un deficit di fiducia rispetto alla classe di governo, sistematicamente riduce la propensione al consumo per un sistematico accantonamento a favore del risparmio, in attesa di maggiori certezze rispetto al futuro e/o perlomeno della conclusione dell’emergenza. Ciò anche a fronte di una sicura perdita del valore, a causa dell’inflazione che in modo inesorabile logora i risparmi. Il primo clamoroso test in Italia è accaduto in occasione dello lo shock petrolifero del 1973 conseguente alla guerra del Kippur.

[8] gli eventi della storia fiscale italiana non consentono di poter dare fiducia, se non di maquillage fiscale e non a regime, a tale intendimento.

[9] a tal proposito giova ricordare che l’attuale IMU è nata come ISI (imposta straordinaria sugli immobili), “evoluta” in ICI (imposta comunale sugli immobili) per arrivare ai giorni nostri con i ricorrenti ritocchi in aumento della percentuale di tassazione.

[10] nell’auspicio di non essere smentiti dai fatti.


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