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Premessa

Il “redditometro”, o meglio “accertamento sintetico” del reddito, è lo strumento che il fisco utilizza per presumere un livello di reddito (e la relativa evasione in caso di inadeguatezza di questo) soggetto al pagamento dell’imposta personale sui redditi (IRPeF) nei confronti di quei contribuenti (residenti in Italia, fiscalmente intesi) che abbiano effettuato investimenti, accumulazioni di capitale e per il livello delle spese per vivere (compreso il rimborso di rate di mutuo), valutati come eccessivi rispetto al reddito dichiarato.

È uno strumento nato nel 1992 e, nei suoi quasi trent’anni, ha raccolto nelle sue reti numericamente pochi sprovveduti od impavidi oppure soggetti in semplicistica buona fede che al momento opportuno non hanno saputo opporre prove contrarie alle presunzioni del fisco.

37.191 è il top del numero degli accertamenti sintetico-redditometrici, realizzati nel 2012 (ai tempi del Governo Monti, grande promotore del redditometro), corrispondenti allo 0,07% dei contribuenti totali e che hanno portato ad un totale accertato (accertato, non incassato) di 207,6 milioni di euro (pari allo 0,02% delle entrate tributarie). Gli anni successivi i risultati sono stati decisamente inferiori quasi ad annullarsi (2.024 nel 2017) fino a quanto il metodo è stato sospeso dal Governo Conte 11 in (parziale) esecuzione del programma elettorale della principale forza politica uscente dalle ultime elezioni nazionali, in quanto la totale abolizione ha trovato il compromesso di un profondo restyling da portare a compimento con l’Istat e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori. ad opera dell’Art. 10 del D.L. 12/7/2018 n. 87 (cd. “Decreto Dignità”2 col quale si abroga il D.M. 16/9/2015 e quindi l’abbandono dell’approcciomedio-statistico ivi contenuto per farvi subentrare, dal 2016, un nuovo metodo da regolamentare con un nuovo decreto ministeriale sentiti però l’ “ISTAT e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori, per gli aspetti riguardanti la metodica di ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa ed alla propensione al risparmio dei contribuenti”. il quale ha abrogato il D.M. 16/9/2015 che dava attuazione allo strumento accertativo traducendosi quindi nell’abbandono dell’approccio medio-statistico ivi contenuto in quanto -basandosi su dati medi rilevati dall’Istat- l’accertamento “familiare3concetto estraneo al sistema tributario italiano, ove è debitore dell’imposta il contribuente non la famiglia.” avrebbe accertato la famiglia di Trilussa4

La Statistica:

Sai ched’è la statistica? È na’ cosa

che serve pe fà un conto in generale

de la gente che nasce, che sta male,

che more, che va in carcere e che spósa.

Ma pè me la statistica curiosa

è dove c’entra la percentuale,

pè via che, lì, la media è sempre eguale

puro co’ la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno

seconno le statistiche d’adesso

risurta che te tocca un pollo all’anno:

e, se nun entra nelle spese tue,

t’entra ne la statistica lo stesso

perch’è c’è un antro che ne magna due.

Er compagno scompagno:

Io che conosco bene l’idee tue

so’ certo che quer pollo che te magni,

se vengo giù, sarà diviso in due:

mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni.

No, no – rispose er Gatto senza core –

io non divido gnente co’ nessuno:

fo er socialista quanno sto a diggiuno,

ma quanno magno so’ conservatore.”

(Trilussa)
e non la famiglia sottoposta al controllo. Il provvedimento è stato emanato anche e soprattutto a seguito della censura metodologica5avuto riguardo all’utilizzo massivo delle spese figurative fondate sulla disponibilità di beni e servizi valorizzate, in assenza di dati specifici, sulla base dei consumi medi Istat e ritenute troppo invasive della sfera personale del contribuente. Il contribuente, nel caso specifico, per difendersi dall’accertamento fiscale sarebbe stato costretto ad fornire dati che avrebbero esposto scelte che appartengono alla vita privata alla vita privata degli individui e sottoponendosi cosi ad un irragionevole onere di conservazione documentale. dichiarata dal Garante della privacy di ben qualche anno addietro.

Considerazione preliminare

In termini di pianificazione personale, l’accertamento sintetico del reddito è uno strumento da tenere sempre in considerazione soprattutto per il fatto che oltre alla accumulazione di risparmio hanno ripreso gli investimenti, per via anche delle basse quotazioni del mercato immobiliare che per il timore sempre meno teorico del ritorno dell’inflazione (il business degli stati indebitati).

Un flash back

L’Art 38 del D.P.R. 29/9/1973 n. 600 regolamenta l’ “accertamento sintetico”, strumento di controllo che attribuisce al fisco la possibilità di presumere l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, osservando il suo tenore di vita. Pur oggetto di numerose modifiche, la logica accertativa dell’istituto è sempre stata quella di basare la ricostruzione dei redditi presunti sul presupposto che chi spende di più di quanto guadagni evada il fisco. In realtà, ancorchè comunemente chiamato “redditometro”, i metodi di ricostruzione reddituale sono due, profondamente differenti:

– quello basato su specifiche e circostanziate spese (sia correnti che per investimenti) sostenute dal contribuente in un certo periodo d’imposta, e che appaiono inspiegabili rispetto alla sua dichiarazione dei redditi (accertamento “sintetico vero e proprio”);

– quello che prende spunto dal “tenore” di vita complessivo, che si manifesta in termini di spese, e che occorre trovi giustificazione e coerente consistenza del reddito dichiarato (accertamento redditometrico o “redditometro”).

La ricostruzione redditometrica è molto complessa se viene giustamente preteso il (giusto) iter di un tipico accertamento specifico, della persona e non di altri, di una media, di un assieme. Ciò è necessario, a meno che venga legittimata una intrusione costante e pervasiva da grande fratello fiscale in tutte le attività di ogni singolo cittadino.

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Il nuovo che avanza

(chi non muore si rivede)

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sottoposto a pubblica consultazione uno schema di decreto (QUI il testo con allegati Tabella A, Tabella B e Relazione illustrativa) nei termini previsti dall’Art. 38, comma 5, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’Art. 10, comma 1, D.L. 12/7/2018 n. 876come emerge dall’Atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2017-2019 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ove si afferma la necessarietà di “una politica dei controlli basata sulla gestione informatizzata del rischio, per migliorare l’efficacia dei controlli” e che “parte essenziale di questa strategia sarà l’utilizzo efficiente delle banche dati”., volto ad individuare il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, finalizzato alla determinazione sintetica dei redditi delle persone fisiche relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2016 (“redditometro”)7Relativamente ai periodi di imposta, dal 2011 e 2015, era vigente il D.M. 16/9/2015..

La consultazione prevista fino al 15 luglio 2021 è diretta ad acquisire valutazioni, osservazioni e suggerimenti delle associazioni “maggiormente” rappresentative dei consumatori. È stato osservato che la strada della consultazione pubblica, con il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori, sembra sostanziarsi più nella volontà di rafforzare la legittimità dell’adozione di questo sistema piuttosto che di raccogliere fattivamente suggerimenti e proposte migliorative8l’intervento previsto come essenziale dell’Istat ed ora anche delle associazioni maggiormente (!) rappresentative dei consumatori, comunque, non lascia presagire presupposti troppo differenti rispetto al passato (e che ne hanno suggerito l’abbandono) e quindi in odore di illegittimità in quanto i princìpi costituzionali impongono che l’attività impositiva si fondi sempre su elementi concreti, non su dati provenienti dall’ISTAT o da associazioni dei consumatori. Perché l’illegittimità? Perché quei dati, quelle spese sono, magari, attribuibili a raggruppamenti di contribuenti o agganciate a imperscrutabili dati statistici e non al singolo contribuente..

Elementi indicativi di capacità di contributiva (Art. 1 della bozza di decreto)

La Tabella A allegata allo schema di decreto contiene l’elenco delle “vocidi spesa che, alla luce dell’attuale contesto socio-economico, caratterizzano i diversi aspetti della vita quotidiana, riconducibili alle seguenti macro categorie:

1) consumi (generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi);

2) investimenti (immobiliari e mobiliari);

3) risparmio;

4) spese per trasferimenti.

Nella Tabella A sono individuate le informazioni utilizzabili per determinare gli elementi indicativi di capacità contributiva presenti negli archivi in possesso dell’Amministrazione Finanziaria. La stessa tabella indica, inoltre, alcune categorie di beni e servizi effettivamente detenuti, a qualsiasi titolo, dal contribuente, per i quali non si dispone dell’ammontare della spesa di mantenimento effettivamente sostenuta, che viene, pertanto, determinata applicando un prezzo rappresentativo del valore d’uso del bene o del servizio considerato.

La Tabella B distingue le tipologie di nuclei familiari da assumere in considerazione.

I prezzi, distinti per gruppi e categorie di consumi del nucleo familiare di appartenenza del contribuente, sono desunti dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti a 11 tipologie di nuclei familiari, distribuite nelle 5 aree territoriali in cui è suddiviso il territorio nazionale.

Il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva indicati nella Tabella A è determinato considerando la quota del risparmio formatasi nell’anno e non utilizzata per consumi, investimenti e altre spese.

In assenza di dati in Anagrafe tributaria relativi alle spese indicate nella Tabella A, per i beni e servizi che vengono considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile per una famiglia con determinate caratteristiche e qualora tali informazioni non fossero acquisite in sede di contraddittorio con il contribuente, si considera l’ammontare individuato dall’ISTAT quale spesa minima necessaria per posizionarsi al limite della soglia di povertà assoluta. Tale soglia varia, per costruzione, in base a:

– dimensione della famiglia,

– composizione per età,

– ripartizione geografica,

– dimensione del comune di residenza rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’ISTAT.

In presenza di spese indicate nella Tabella A, l’ammontare risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria si considera prevalente rispetto a quello calcolato induttivamente, ma ciò altresì significa che il decreto di prossima emanazione si prefigge di calcolare un importo di spese di beni e servizi individuato dall’ISTAT, ritenuto essenziale per conseguire un livello di vita accettabile, ma che servirà anche per individuare la posizione della famiglia nel limite della soglia di povertà assoluta.

Imputazione delle spese al contribuente (Art. 2 della bozza di decreto)

Le spese relative ai beni e servizi si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni presenti in Anagrafe tributaria. È fatta salva la possibilità di fornire la prova contraria da parte del contribuente. Viene specificato che si considerano finanziate con i redditi del contribuente le spese relative ai beni e servizi effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico del contribuente. In tali casi, infatti, le spese si.

Non rientrano nel computo delle spese attribuibili alla persona fisica quelle spese per i beni e servizi se gli stessi sono pertinenti “esclusivamente” ed “effettivamente” ad una attività d’impresa o di esercizio di arti e professioni.

Determinazione sintetica del reddito complessivo accertabile (Art. 3 della bozza di decreto)

Lo schema di decreto, facendo salva la prova contraria del contribuente, fissa i criteri base che devono guidare il metodo di ricostruzione del reddito complessivo accertabile.

In particolare, il reddito complessivo accertabile del contribuente è determinato tenendo conto:

a) dell’ammontare delle spese che dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel Sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, risultano sostenute dal contribuente;

b) dell’ammontare delle spese correnti determinato sulla base di analisi e studi socio-economici;

c) della quota parte, attribuibile al contribuente, dell’ammontare della spesa per i beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile (c.d. “Soglia di povertà assoluta”) per una famiglia corrispondente alla tipologia di nucleo familiare di appartenenza;

d) della quota relativa agli incrementi patrimoniali9La Tabella A detta una regola prudenziale che considera incremento patrimoniale imputabile al periodo d’imposta considerato, l’ammontare degli investimenti effettuati nell’anno, al netto dell’ammontare dei disinvestimenti effettuati nell’anno e dei disinvestimenti “netti” dei quattro anni precedenti all’acquisto dei beni. del contribuente imputabile al periodo d’imposta;

e) della quota di risparmio riscontrata dall’Agenzia, formatasi nell’anno e non utilizzata per consumi ed investimenti.

Spese attribuite al contribuente e prova contraria (Art. 4 della bozza di decreto)

In sede di contraddittorio (sia in fase preventiva che nell’eventuale fase successiva, ossia nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione) il contribuente può fornire all’ufficio elementi e circostanze di fatto idonee a dimostrare una diversa valorizzazione delle spese attribuite e a ridimensionare la pretesa tributaria conseguente alla determinazione sintetica del reddito complessivo10Posto che il criterio guida per il funzionario del fisco, come espresso dalla Circolare Agenzia delle entrate 9/8/2007 n. 9/E, deve essere quello di ricostruire la posizione reddituale complessiva anche attraverso l’individuazione del soggetto che ha effettivamente sostenuto la spesa attribuita la soggetto sottoposto all’accertamento sintetico..

In particolare, il contribuente può dimostrare che il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, ovvero che il finanziamento è avvenuto da parte di soggetti diversi dal contribuente stesso; con le predette modalità, ha, altresì, facoltà di dimostrare l’eventuale diverso ammontare delle spese al medesimo attribuite; oltre che la quota del risparmio utilizzata per consumi ed investimenti si è formata nel corso di anni precedenti.

Qualche osservazione

Futuro vaglio del Garante della Privacy

Il testo elaborato, ed ancora in consultazione, è di fatto una riproposizione del vecchio decreto ministeriale abrogato e presenta quegli stessi elementi -evidenziati nella nota 5- che ne hanno causato la disapprovazione del Garante della privacy: l’utilizzo dei valori Istat, anzi aumentandolo.

Nel solco della pregressa impostazione, il decreto amplia lo spettro delle spese, ampliandolo alle spese per l’istruzione, per alimenti e bevande, per abbigliamento e calzature, per visite mediche, per acquisto medicinali e quelle per trasporti pubblici. Altra novità è l’introduzione della “soglia di povertà”, che fa riferimento a spese considerate necessarie per conseguire “uno standard di vita minimamente accettabile”, anch’esse determinate attraverso i criteri Istat, applicati a ciascuna tipologia di nucleo familiare di appartenenza.

Parallelamente, è di qualche giorno fa l’esternazione ad un Webinar promosso dalla Fp-Cgil da parte del direttore dell’Agenzia delle entrate, che ha addebitato al Garante della privacy la responsabilità di un uso limitato delle potenzialità della fatturazione elettronica. Tra l’altro ha asserito che “la valorizzazione massiva è dati è la strada maestra” ove “concepire il diritto alla privacy con i diritti altrettanto sacrosanti di ricevere l’assistenza sanitaria o l’istruzione. Altrimenti si immolano sull’altare del diritto alla privacy tutti gli altri diritti che vengono lesi”.

Tipo di accertamento e tecnicalità della difesa

Il testo del decreto approccia ad una metodologia di accertamento come se lo stesso concedesse al fisco delle presunzioni legali (relative)11tipica del caso in cui è il contribuente che ha l’onere di convincere e portare sulle proprie tesi l’Ufficio finanziario piuttosto del fatto che sia il funzionario del fisco a provare il senso della pretesa tributaria. per cui, secondo tale metodo i funzionari dell’Agenzia delle Entrate potrebbero richiedere ai contribuenti un tipo di prova contraria richiesta impossibile da fornire (la cd. “prova diabolica“).

L’impostazione del decreto è erronea, in quanto la legge (l’Art. 38 del D.P.R. 600/73) non prevede specificamente che l’accertamento sintetico sia assistito da alcuna presunzione legale, per cui poggia sulle presunzioni semplici degli articoli (come regolamentata dall’Art. 2729 del codice civile).

Tanto è vero che la stessa bozza di decreto prevede che, sia in fase preventiva che nell’eventuale fase successiva, ossia nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, sussista un doppio passaggio in contraddittorio tra Agenzia delle Entrate ed il contribuente (o chi per esso), prima dell’emanazione dell’atto impositivo.

Si deve osservare, ad esempio, che la determinazione della quota degli investimenti ma, e soprattutto, le spese –ancorchè valorizzate dall’Istat– necessitano di una personalizzazione sul contribuente che si realizza nell’ambito del contraddittorio preventivo. Ed in tale sede è il funzionario delle Entrate che, caso per caso, dovrà debitamente motivare e provare la rilevanza della materia imponibile che vuole addebitare al contribuente. Come noto, ai sensi dell’Art. 2728 codice civile, le presunzioni legali soggiacciono all’Art. 2697 del codice civile (“onere della prova”) il quale dispone che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” e le presunzioni legali, che invertono questa regola, in quanto eccezione, devono espressamente essere fissate dal legislatore prevedendo che un elemento X (“fatto noto”) determini Y (“fatto ignorato”).

Nella disposizione non v’è nulla che possa far interpretare la presunzione come legale ed un Decreto Ministeriale, quale atto amministrativo, non ha facoltà di istituirne. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’emanazione del suo decreto, una volta sentiti Istat e maggiori organizzazioni dei consumatori, non potrà che attenersi al disposto dell’Art. 38 del D.P.R. 600/73, secondo il quale il decreto in commento può limitarsi a determinare il contenuto induttivo, presuntivo appunto, degli elementi rappresentativi di capacità contributiva, nonché la struttura stessa della metodologia applicata.

Il metodo non è di poco conto, meramente formale. Si pensi al tipo di prova da opporre al fisco se analitica, attraverso la produzione di ogni documento che comprovi la legittimità dei fondi oppure se, per mezzo di presunzioni semplici, solamente offrire elementi di compatibilità tra le risorse finanziarie disponibili e spese sostenute.

Conclusione

È sui diritti della persona che andrà posto il vaglio della legittimità di quanto previsto dal decreto, una volta che il ministero l’avrà varato. In assenza di variazioni, ben poche spese sfuggiranno al redditometro: anagrafe tributaria ed altre banche dati, fatturazione elettronica, sistema tessera sanitaria ed archivio dei rapporti bancari consentiranno di analizzare la conduzione della vita di ogni residente (fiscalmente inteso) in Italia e costituiranno, secondo lo schema di decreto, un dato “certo” indicativo di una corrispondente disponibilità reddituale.

Il discrimine risiede nella gestione in modo organizzato, efficiente, mirato, non indiscriminato ed in modo non strumentale questo patrimonio di informazioni di rilevanza fiscale al fine di realmente contrastare i fenomeni illeciti.

È per tutti questi motivi che una ordinata amministrazione personale ma anche una valida consulenza ed assistenza in occasione di controlli possano costituire gli elementi per una legittima difesa da errori, sia metodologici che di calcolo, che incidono particolarmente sulla sfera economica individuale.

 

NOTE:

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